giovedì 24 marzo 2011

♥ 19 marzo, festa del papà

E’ un post un po’ in ritardo, ma è una costante di questo periodo; mi sveglio e sono già in ritardo……
 

Da figlio ho festeggiato poche volte la festa del papà.  Quando ero piccolo, forse.
Quando la figura del papà è immensa, imponente e… onnipotente!
Crescendo non ho avuto un buon rapporto con mio padre.
Intendiamoci, mio padre è un uomo buono, di sani principi, sicuramente non un orco.
Ma non è nelle sue corde il ruolo di padre.
Non c’era spazio nel suo tempo libero, per un figlio che non era un suo piccolo clone.
Più passava il tempo, più la distanza aumentava, più le strade divaricavano.
Mi è mancata, soprattutto da adolescente, un briciolo di attenzione, di complicità, la stessa che aveva con due suoi nipoti….
O qualche “bravo!” che non lesinava parlando di me ad altri  ma che, raramente, mi donava….
Fino a che siamo diventati 2 estranei, probabilmente con silenziosa sofferenza di entrambi.
Il destino ci ha offerto una seconda opportunità circa 15 anni fa.  Per una brutta caduta, mio padre  è stato qualche giorno in terapia intensiva e, quando ne è uscito aveva ricordi confusi e faticava ad avere il senso dell’equilibrio.
Lui, abituato ad essere indipendente, a viaggiare per il mondo, si trovava in difficoltà a girare attorno al letto…
Ho investito tanto tempo per stargli vicino in quel periodo, ma il suo orgoglio gli impediva di farsi aiutare da me, di aprire un varco…   peccato….
Ancora oggi abitiamo vicini, in case confinanti, ma stiamo settimane senza vederci….
Così, negli anni, ho coltivato il desiderio di paternità.   Quando poi, qualche anno fa sono diventato a mia volta padre, è cominciata la mia vera sfida della vita:  dimostrare ( in primis a me stesso) che era possibile un rapporto padre-figlio diverso da quello che avevo vissuto io.
Non è facile; è un continuo lavoro quotidiano.
Ma quando torno a casa, la sera, magari dopo una giornata pesante, l’abbraccio dei miei cuccioli disegna un sorriso sopra ogni cosa….
 
Ci sono 2 canzoni che mi ronzano in testa quando penso a padri e figli, o meglio al rapporto tra un figlio già adulto e suo padre:
La prima è “Northampton, gennaio ‘78” di Finardi (ripresa poi con il titolo “a mio padre”), in cui la comprensione con il proprio padre è la premessa per la propria paternità:


Oggi ho conosciuto mio padre,
finalmente credo di aver capito.
Adesso che viviamo in due famiglie separate
è uno qualunque, anzi un buon amico.
Ho capito che quando lui soffriva
per un figlio che non capiva.
Non era di vergogna o di delusione
ma solo che mi voleva bene.
[…]
E adesso sento il bisogno
di organizzarmi la vita
di mettere ordine nei miei pensieri
Di fare posto ad un'emozione sconosciuta
mai provata fino a ieri.
La sensazione che si sia concluso un ciclo
e un altro stia per cominciare.
Di essere ormai pronto ad essere il padre
del figlio che ora può arrivare.



 



 


 
La seconda è “Van Loon” di Guccini: anche qui c’è il superamento delle incomprensioni, anche con una feroce autocritica, ma quasi alla fine dei giorni utili:
 


Quanti anni, giorno per giorno, dobbiamo vivere con uno 
per capire cosa gli nasca in testa o cosa voglia o chi è, 
turisti del vuoto, esploratori di nessuno 
che non sia io o me;
Von Loon viveva e io lo credevo morto 
o, peggio, inutile, solo per la distanza 
fra i suoi miti diversi e la mia giovinezza e superbia d' allora, 
la mia ignoranza: 
che ne sapevo quanto avesse navigato 
con il coraggio di un Caboto fra le schiume 
di ogni suo giorno e che uno squalo è diventato, 
giorno per giorno, pesce di fiume...
[…]
Ora Von Loon si sta preparando piano al suo ultimo viaggio, 
i bagagli già pronti da tempo, come ogni uomo prudente, 
o meglio, il bagaglio, quello consueto, di un semplice o un saggio, 
cioè poco o niente 
e andrà davvero in un suo luogo o una sua storia 
con tutti i libri che la vita gli ha proibito, 
con vecchi amici di cui ha perso la memoria, 
con l'infinito
 


 
Se la prima mi da una briciola di disagio per quello che poteva essere e non è stato, la seconda mi spaventa un po’, per quello che potrebbe essere, forse troppo tardi.
Mi spaventa non un po’, ma tanto.

1 commento:

  1. cavoli, é triste.
    Io spero che tuo padre riesca a raccontarsi un giorno, se non a te ai tuoi figli.
    Sembra che negli anni abbiate parlato lingue diverse, che spreco.
    Forse é un tratto degli uomini tutto d'un pezzo, non usi a ascoltare o dare confidenza ai propri figli, ma solo a impartire ordini e indicazioni.

    L'unica certezza é che tu, per contrasto, sei un padre sensibile e presente.
    E questo é ciò che conta, e che ti regalerà il meglio....

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