sabato 26 marzo 2011

♥ albe e tramonti




ancora una mattina al lavoro presto. Molto presto.
Queste mattine in cui mi "sciroppo" un oretta di macchina per andare in ufficio, assisto al sorgere del sole.
Il primo istinto sarebbe stato scrivere " mi godo il sorgere del sole " ma mentirei, sapendo di mentire.

Non amo particolarmente l'alba  con i suoi colori sfumati,  apprezzo molto di più i colori accesi, forti di certi tramonti.
Tempo fa si parlava di albe e tramonti e una mia amica disse una cosa carina:
- Io apprezzo molto di più i tramonti, anche perchè gli ho dato molte più possibilità...-  sottintendendo la possibilità di alzarsi abbastanza tardi al mattino.

Anch'io ero così. Finchè ho potuto, ho dato più possibilità ai tramonti.
Ora invece mi accompagno più frequentemente alle albe.
E di questo, il mio orologio biologico, è tutt'altro che soddisfatto.....

venerdì 25 marzo 2011

♦ una bella canzone (almeno per me....)






... Pink Floyd di Roger Waters condensati in una canzone....
... e un paio di ottimi consigli per eseere uomini un po' migliori....
.... sperando che che qualcuno non metta i s..u oi  fil  i  nel....


giovedì 24 marzo 2011

♦ IL BATTELLO EBBRO

IL BATTELLO EBBRO
di Artur Rimbaud
 
Appena presi a scendere lungo i Fiumi impassibili,
Mi accorsi che i bardotti non mi guidavan più:
Ignudi ed inchiodati ai pali variopinti,
I Pellirosse striduli li avevan bersagliati.

Non mi curavo più di avere un equipaggio,
Col mio grano fiammingo, col mio cotone inglese.
Quando assieme ai bardotti si spensero i clamori,
I Fiumi mi lasciarono scender liberamente.

Dentro lo sciabordare aspro delle maree,
L'altro inverno, più sordo di una mente infantile,
Io corsi! E le Penisole strappate dagli ormeggi
Non subirono mai sconquasso più trionfante.

La tempesta ha sorriso ai miei risvegli in mare.
Più lieve di un turacciolo ho danzato sui flutti
Che eternamente spingono i corpi delle vittime.
Dieci notti, e irridevo l'occhio insulso dei fari!

Più dolce che ai fanciulli qualche acida polpa,
L'acqua verde filtrò nel mio scafo di abete
E dalle macchie rosse di vomito e di vino
Mi lavò, disperdendo il timone e i ramponi.

Da allora sono immerso nel Poema del Mare
Che, lattescente e invaso dalla luce degli astri,
Morde l'acqua turchese, dentro cui, fluttuando,
Scende estatico un morto pensoso e illividito;

Dove, tingendo a un tratto l'azzurrità, deliri
E ritmi prolungati nel giorno rutilante,
Più stordenti dell'alcol, più vasti delle lire,
Fermentano i rossori amari dell'amore!

Io so i cieli che scoppiano in lampi, e so le trombe,
Le correnti e i riflussi: io so la sera, e l'Alba
Che si esalta nel cielo come colombe a stormo;
E qualche volta ho visto quel che l'uomo ha sognato!

Ho visto il sole basso, fosco di orrori mistici,
Che illuminava lunghi coaguli violacei,
Somiglianti ad attori di antichi drammi, i flutti
Che fluivano al tremito di persiane, lontano!

Sognai la notte verde dalle nevi abbagliate,
Bacio che sale lento agli occhi degli Oceani,
E la circolazione delle linfe inaudite,
E, giallo e blu, il destarsi dei fosfori canori!

Ho seguito, per mesi, i marosi che assaltano
Gli scogli, come mandrie di isterici bovini,
Stupito che i lucenti piedi delle Marie
Potessero forzare i musi degli Oceani!

Ho cozzato in Floride incredibili: fiori
Sbocciavano fra gli occhi di pantere con pelli
D'uomo! In arcobaleni come redini tesi
A glauche mandrie soto l'orizzonte dei mari!

Ho visto fermentare gli stagni enormi, nasse
Dove frammezzo ai giunchi marcisce un Leviatano!
Frane d'acqua scuotevano le immobili bonacce,
Cateratte lontane crollavano nei baratri!

Ghiacciaci, soli d'argento, flutti madreperlacei,
Cieli ardenti! Incagliavo in fondo a golfi bruni
Dove immensi serpenti mangiati dalle cimici
Cadon, da piante torte, con oscuri profumi!

Ai bimbi avrei voluto mostrare le dorate
Dell'onda cupa e azzurra, o quei pesci canori.
- Schiune di fiori, mentre salpavo, m'han cullato,
E talvolta ineffabili venti m'han dato l'ali.

Martire affaticato dai poli e dalle zone,
Il mare che piangendo mi addolciva il rullio
Faceva salir fiori d'ombra, gialle ventose,
Ed io restavo, simile a una donna in ginocchio,

Quasi isola, scuotendo sui miei bordi i litigi
E lo sterco di uccelli dagli occhi bioni, e urlanti.
Vogavo ed attraverso i miei legami fragili
Gli affogati a ritroso scendevano a dormire!

Io, battello perduto nei crini delle cale,
Spinto dall'uragano nell'etra senza uccelli,
Né i velieri anseatici, né i Monitori avrebbero
Ripescato il mio scafo ubriacato d'acqua;

Libero, fumigante, di brume viole carico,
Io che foravo il cielo rossastro come un muro
Che porti, leccornie per i buoni poeti,
Dei licheni di sole e dei mocci d'azzurro;

Io che andavo chiazzato dalle lunule elettriche,
Folle trave, scortato dagli ippocampi neri,
Quando il luglio faceva crollare a scudisciate
I cieli ultramarini dai vortici infuocati;

Io che tremavo udendo gemere a cento leghe
I Behemot in foia e i densi Maèlstrom,
Filando eternamente sulle acque azzurre e immobili,
Io rimpiango l'Europa dai parapetti antichi!

Ho visto gli arcipelaghi siderei e delle isole
Dai cieli deliranti aperti al vogatore:
- È in queste notti immense che tu dormi e t'esili
Stuolo d'uccelli d'oro, o Vigore futuro?

Ma basta, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna mi è atroce ed ogni sole amaro:
L'acre amore mi gonfia di stordenti torpori.
Oh, la mia chiglia scoppi! Ch'io vada in fondo al mare!

Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
Nera e gelida, quando, nell'ora del crepuscolo,
Un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
Un battello leggero come farfalla a maggio.

Non posso più, bagnato da quei languori, onde,
Filare nella scia di chi porta cotone,
Né fendere l'orgoglio dei pavesi e dei labari,
Né vogar sotto gli occhi orrendi dei pontoni.

 

da Poesie
1871

♥ 19 marzo, festa del papà

E’ un post un po’ in ritardo, ma è una costante di questo periodo; mi sveglio e sono già in ritardo……
 

Da figlio ho festeggiato poche volte la festa del papà.  Quando ero piccolo, forse.
Quando la figura del papà è immensa, imponente e… onnipotente!
Crescendo non ho avuto un buon rapporto con mio padre.
Intendiamoci, mio padre è un uomo buono, di sani principi, sicuramente non un orco.
Ma non è nelle sue corde il ruolo di padre.
Non c’era spazio nel suo tempo libero, per un figlio che non era un suo piccolo clone.
Più passava il tempo, più la distanza aumentava, più le strade divaricavano.
Mi è mancata, soprattutto da adolescente, un briciolo di attenzione, di complicità, la stessa che aveva con due suoi nipoti….
O qualche “bravo!” che non lesinava parlando di me ad altri  ma che, raramente, mi donava….
Fino a che siamo diventati 2 estranei, probabilmente con silenziosa sofferenza di entrambi.
Il destino ci ha offerto una seconda opportunità circa 15 anni fa.  Per una brutta caduta, mio padre  è stato qualche giorno in terapia intensiva e, quando ne è uscito aveva ricordi confusi e faticava ad avere il senso dell’equilibrio.
Lui, abituato ad essere indipendente, a viaggiare per il mondo, si trovava in difficoltà a girare attorno al letto…
Ho investito tanto tempo per stargli vicino in quel periodo, ma il suo orgoglio gli impediva di farsi aiutare da me, di aprire un varco…   peccato….
Ancora oggi abitiamo vicini, in case confinanti, ma stiamo settimane senza vederci….
Così, negli anni, ho coltivato il desiderio di paternità.   Quando poi, qualche anno fa sono diventato a mia volta padre, è cominciata la mia vera sfida della vita:  dimostrare ( in primis a me stesso) che era possibile un rapporto padre-figlio diverso da quello che avevo vissuto io.
Non è facile; è un continuo lavoro quotidiano.
Ma quando torno a casa, la sera, magari dopo una giornata pesante, l’abbraccio dei miei cuccioli disegna un sorriso sopra ogni cosa….
 
Ci sono 2 canzoni che mi ronzano in testa quando penso a padri e figli, o meglio al rapporto tra un figlio già adulto e suo padre:
La prima è “Northampton, gennaio ‘78” di Finardi (ripresa poi con il titolo “a mio padre”), in cui la comprensione con il proprio padre è la premessa per la propria paternità:


Oggi ho conosciuto mio padre,
finalmente credo di aver capito.
Adesso che viviamo in due famiglie separate
è uno qualunque, anzi un buon amico.
Ho capito che quando lui soffriva
per un figlio che non capiva.
Non era di vergogna o di delusione
ma solo che mi voleva bene.
[…]
E adesso sento il bisogno
di organizzarmi la vita
di mettere ordine nei miei pensieri
Di fare posto ad un'emozione sconosciuta
mai provata fino a ieri.
La sensazione che si sia concluso un ciclo
e un altro stia per cominciare.
Di essere ormai pronto ad essere il padre
del figlio che ora può arrivare.



 



 


 
La seconda è “Van Loon” di Guccini: anche qui c’è il superamento delle incomprensioni, anche con una feroce autocritica, ma quasi alla fine dei giorni utili:
 


Quanti anni, giorno per giorno, dobbiamo vivere con uno 
per capire cosa gli nasca in testa o cosa voglia o chi è, 
turisti del vuoto, esploratori di nessuno 
che non sia io o me;
Von Loon viveva e io lo credevo morto 
o, peggio, inutile, solo per la distanza 
fra i suoi miti diversi e la mia giovinezza e superbia d' allora, 
la mia ignoranza: 
che ne sapevo quanto avesse navigato 
con il coraggio di un Caboto fra le schiume 
di ogni suo giorno e che uno squalo è diventato, 
giorno per giorno, pesce di fiume...
[…]
Ora Von Loon si sta preparando piano al suo ultimo viaggio, 
i bagagli già pronti da tempo, come ogni uomo prudente, 
o meglio, il bagaglio, quello consueto, di un semplice o un saggio, 
cioè poco o niente 
e andrà davvero in un suo luogo o una sua storia 
con tutti i libri che la vita gli ha proibito, 
con vecchi amici di cui ha perso la memoria, 
con l'infinito
 


 
Se la prima mi da una briciola di disagio per quello che poteva essere e non è stato, la seconda mi spaventa un po’, per quello che potrebbe essere, forse troppo tardi.
Mi spaventa non un po’, ma tanto.

mercoledì 23 marzo 2011

♠ ...aggiornamento.....

faccio riferimento ad un mio post di qualche tempo fa per fare un aggiornamento.

E' stata pubblicata la sentenza di condanna dell'ex presidente Israeliano Moshe Katsav; è stato condannato a 7 anni di carcere per stupro e molestie sessuali.

la lettura della sentenza è stata data in diretta televisiva.
Katsav si è sempre professato innocente, anche con atteggiamenti sopra le righe, al punto che il suo comportamento è statostigmatizzato dai giudici.

Alla sentenza,  Katsav ha dichiarato di essere vittima di un complotto e che "la menzogna ha vinto".

tutto il mondo è paese......


giovedì 17 marzo 2011

♠ FESTEGGIARE O RIFLETTERE?


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Sarà che non amo le feste in genere.



Sarà che non amo la retorica a piene mani,



ma a me, questo bagno di melassa mi lascia perplesso.



Sgombro subito il campo da dubbi “leghisti”. Probabilmente l'unità d'Italia è la cosa più importante e utile che ci è capitata; se, per un attimo, ripensassimo di essere divisi in 6 o 7 staterelli, saremmo in balia (più di oggi) degli umori dei nostri vicini e in un momento di globalizzazione, saremmo forse solo presi dalle nostre liti da cortile.



Ma il dubbio che mi assale è: c'è solo da festeggiare o c'è più da riflettere?



 Onestamente, mi sembra che questa unità abbia diverse ombre sulle quali riflettere; già il fatto che alcuni ministri, che una parte politica al governo non ritenga di dover partecipare è triste, aggiungiamo che anche parti del territorio non condividono il festeggiamento (penso alla zona di Bolzano) aggiunge tristezza a tristezza.



E allora forse qualcosa non va.



Il primo punto è che, nel 1861, l'Italia era assolutamente incompleta, mancava Roma, mancava parte del triveneto, mancava parte del Trentino- Alto Adige



 Il secondo punto è che l'unificazione ha seguito un grande sogno di un manipolo di magnifici visionari ma, sostanzialmente, è stata una annessione del regno piemontese, spesso subìta dagli altri stati, nel nome di una “presunta” comune identità.
Ma dove? Genti con cultura influenzata da storie completamente diverse (spagnola al sud, cattolica al centro, austroungarica al nord est, francese al nord ovest).



Genti che non parlavano nenche la stessa lingua.



Se penso, per esempio, alla Romania, essi sì che hanno perseguito per secoli il sogno di uno stato unitario, sballottati tra l'impero ottomano e l'impero austroungarico, enclave di lingua latina (comune a tutti) in mezzo a genti slave. E una volta raggiunto, è stato per la fusione di 3 regni.



 Eventi tragici hanno portato gli abitanti dell'Italia a diventare Italiani, a conoscersi; due su tutti:
L'esercito (o meglio, la guerra, soprattutto la 1a Guerra Mondiale) che ha costretto genti di regioni diverse a convivere e sopravvivere insieme.
L'emigrazione al nord alla ricerca di lavoro, alla ricerca di una difficile integrazione.



 Anch'io ho imparato a conoscere gli italiani durante il servizio militare, prima non avevo mai avuto a che fare con ragazzi che non fossero delle regioni confinanti con la mia. Ed è indubbio che ci sono differenze culturali che non aiutano l'integrazione.



Ogni tanto ripenso alle mie frequentazioni piemontesi, ad una bella cittadina, che ha un quartiere intero, dietro ad un supermercato Coop, abitato solo da genti del sud, una specie di ghetto, inviso e quasi evitato dagli autoctoni.



 Ancora negli anni '50/60 in Tv il maestro Manzi insegnava gli elementi base della lingua italiana, ancora i miei genitori parlano preferibilmente dialetto....



allora, la nostra identità nazionale dove stà:
Il segno più evidente, più esteriore sono i festeggiamenti per le vittorie della Nazionale di calcio (per me, spesso eccessivi...)
Il segno più importante sono i tanti italiani, che facendo il loro dovere in giro per il mondo, onorano il nome dell'Italia, e in questo abbraccio sono sicuramente compresi i militari impegnati nelle missioni di pace.



 L'ultima nota riguarda i signori della sinistra, che criticano (giustamente!) l'atteggiamento tenuto dalla Lega. Ma io sono sufficiente vecchio per ricordare che, fino a qualche tempo fa, chi parlava di “Patria”, “Nazione” o “Bandiera” era considerato un becero fascista.....



 Ah, come cambia il tempo.....



...per fortuna.  


 

mercoledì 16 marzo 2011

♥ RICORDI CARSICI


E' misterioso come certi ricordi, nella forma di storie, sensazioni, immagini, odori, riaffiorino all'improvviso, senza un motivo apparente.
Come questa piccola storiella, sentita tanto tempo fa. Non ricordo dove. Non ricordo da chi.



Su un pontile c'e un uomo che pesca; poco lontano c'e un'altro uomo che lo osserva.
Il pescatore, pescati due o tre pesci, raccoglie le sue cose e fa per andarsene.
L'uomo che osserva gli si avvicina e gli chiede:



perché te ne vai? C'è ancora tempo prima che venga sera! “



Il pescatore lo guarda e gli risponde :



Ho il pesce che mi serve per fare mangiare la mia famiglia, ora torno a casa”



L'uomo che osserva è perplesso:



Ma se tu rimanessi a pescare un altro po', avresti del pesce da vendere ai tuoi vicini di casa. Con i soldi potresti comprare una barca e andare al largo dove le acque sono più pescose, pescare tanto pesce, per poi venderlo, per acquistare una barca più grande, avere così degli uomini che lavorano per te, e così avere il tempo, poi, per stare con la tua famiglia...”



Il pescatore con un gesto della mano lo interrompe, e con un sorriso gli dice:



Ma io HO GIA' IL TEMPO PER STARE CON LA MIA FAMIGLIA”



 
Come mai questa storia è venuta a galla verso la fine di un periodo di super lavoro?



 Già, come mai.....